AD MENSAM!

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Quando si parla di archeologia, la nostra immaginazione viene automaticamente catturata dalle costruzioni megalitiche protostoriche, dalle evocative piramidi e dai misteri delle sue mummie, oltre che dalle esotiche civiltà pre-colombiane.
Ciò che vi racconteremo oggi riguarda invece un aspetto molto meno appariscente, ma sempre presente nelle culture del passato, ovvero la cucina. Ci occuperemo in particolare dell’arte culinaria romana per capire come i latini percepivano la tavola e con quali pietanze erano soliti imbandirla.

Ospite ai microfoni di LDA per questo excursus sulla cucina dell’Antica Roma è stato Paolo Bergamini, cuoco e legionario dell’associazione Legio I Italica (La storia prende vita, intervista al presidente dell’associazione di archeologia sperimentale).

Paolo, come nasce questa passione per la riscoperta della cucina romana?
Beh, da ex-cuoco posso dire che la cucina, in generale, ha da sempre rappresentato per me una fonte di grande interesse. In particolare recuperare e sperimentare specialità di tradizioni culinarie antiche è sicuramente una cosa che ti arricchisce molto. In più la collaborazione con l’associazione Legio I Italica ha sicuramente rafforzato questa mia passione.

Qual è il tuo approccio alla preparazione di un piatto della tradizione romana?
Sicuramente c’è bisogno di una grande capacità di immedesimazione; per ricreare la maggior parte dei piatti è di fondamentale importanza comprendere la mentalità di chi quei piatti li preparava e li gustava. Inoltre, nonostante oggi disponiamo di numerose fonti scritte sulla cucina romana, poche citano in maniera specifica le quantità e le proporzioni degli ingredienti utilizzati, e per questo motivo è importante “sviluppare un gusto romano” cercando di immaginare quali potessero essere il sapore e il risultato desiderati.
I cittadini appartenenti alle classi più agiate, ad esempio, erano soliti fare sfoggio del loro status, e ciò comprendeva, fra le altre sfere, anche la cucina. Per questo motivo l’esaltazione dei profumi esotici, ottenuti tramite l’utilizzo di spezie provenienti dall’oriente, era sicuramente una fonte di grande prestigio personale agli occhi dei propri ospiti.
Ovviamente l’acquisizione di certi procedimenti passa attraverso una lunga fase di gestazione…
Indubbiamente. La sperimentazione è fondamentale in cucina, soprattutto per ottenere dei sapori e dei profumi filologicamente esatti. Diciamo che è un modo fondamentale per aggiustare la mira, per capire se i procedimenti utilizzati funzionano o meno.

È possibile reperire tutti gli ingredienti, o è necessario utilizzare dei surrogati?
Ovviamente alcuni ingredienti, causa la perdita di biodiversità, sono andati estinti e perciò bisogna ripiegare su prodotti simili. Per questo motivo è necessario trovare delle soluzioni con ingredienti anche moderni, a patto che non snaturino il piatto in questione. Capita spesso, purtroppo, nell’ambiente degli sperimentatori, di trovare soluzioni poco adatte alla sostituzione degli ingredienti originali; come ad esempio l’utilizzo dell’aglio in sostituzione dell’asafoetida, una spezia consigliata dai romani in alternativa al silfio, pianta ormai estinta. Infatti, nonostante l’asafoetida possegga un sentore d’aglio, essa conferisce un aroma e un sapore completamente diversi. Ciò ovviamente se aggiunta al piatto al momento e nella quantità giusta.

Le fonti letterarie degli autori latini sono d’aiuto in questo processo di riscoperta?
Sicuramente le fonti scritte rappresentano una parte importante per chi fa questo tipo di lavoro. Tuttavia, nonostante molti autori latini si interessassero di cucina spicca, su tutte le altre, l’opera di Marco Gavio Apicio, il De Re Coquinaria, un trattato sull’arte della cucina scritto da questo facoltoso e gaudente patrizio romano vissuto fra la fine del I sec. a.C. e l’inizio del secolo successivo. Il suo interesse per l’arte culinaria, specialmente di alto livello, lo portava, mentre i suoi cuochi preparavano le pietanze, a trascriverne gli ingredienti e la preparazione. Ironia della sorte questo amore per la cucina lo portò al fallimento e al suicidio proprio per l’impossibilità di continuare ad organizzare lauti banchetti.

Oggi conosciamo abbastanza approfonditamente le abitudini conviviali dei romani, ma che cosa erano soliti mangiare esattamente i ceti privilegiati?
In realtà non c’è un menù vero e proprio. Sicuramente i cuochi che servivano la ricca aristocrazia erano invitati a preparare i piatti più complessi volti a deliziare e a stupire, come ad esempio l’arrosto di maiale con polpette cotto con le mele, una ricetta particolarmente cara a Caio Giulio Cesare; d’altro canto anche i palati più raffinati amavano la cucina semplice, come il poeta Orazio che prediligeva la zuppa di ceci con pasta.

La cucina povera, e in particolare quella militare, era molto lontana da quella riservata ai membri più facoltosi della società. Di cosa si cibava un legionario?
Letteralmente di tutto ciò che riusciva a reperire. Tuttavia è necessaria una premessa: il legionario romano era tenuto a pagare il proprio sostentamento nei confronti dello stato per quanto riguardava le provviste fornite dall’autorità centrale, ovvero principalmente cereali. Il resto poteva essere approvvigionato tramite compravendita (n.d.a. per mezzo del salario ricevuto dai soldati) o saccheggio.

…questo riguardava anche la carne?
Questo dipende. In epoca arcaica-repubblicana era molto più raro mangiare carne, per le classi meno agiate (n.d.a. tranne che durante le celebrazioni per i sacrifici alle divinità) specialmente perché gli animali da allevamento erano utilizzati principalmente per il lavoro nei campi e per l’ottenimento di prodotti secondari come latte, formaggi e lana. In età imperiale e tardo-antica, complice anche una composizione più variegata degli eserciti di Roma, il consumo di carne aumenta sensibilmente, soprattutto in base al background dei legionari. Per questo motivo era assolutamente normale, al contrario dell’immaginario comune, andare in una caupona o in una mansio (n.d.a. rispettivamente un’osteria e una stazione di posta) e mangiare delle salsicce di maiale, seppur semplici, ma fatte di carne.


Un’ultima domanda. Hai in serbo qualche pietanza speciale per i tuoi legionari nel prossimo futuro?

Come per tutto il resto, anche in cucina noi del Legio I Italica portiamo avanti una continua sperimentazione. Ho in cantiere diverse ricette da provare e da perfezionare, ma soprattutto avrò bisogno di legionari temerari desiderosi di affrontare nuove sfide, a tavola così come in battaglia.

Grazie a Paolo e alla Legio I Italica abbiamo svelato la soglia di un mondo tutto da scoprire…e da gustare! Per ora è tutto, stay tuned and let’s dig again.

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